Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/10

In una volta avrò così il mio tutto,
     Guiderdon, pel bramar poco, a me degno.
     Della speranza al periglioso flutto
     Non fiderò mai più questo mio legno.
     E, con l’esempio, ben gridar saprò:
     Infelice colui, che assai bramò.
Non temete però, quel ch’io diventi.
     Gonfiando di ricchezze e d’albagia,
     Gli amici dell’infanzia ed i parenti,
     Non scorderò, state in parola mia.
     Non son di quei, che coll’andar più in su
     Gli antichi amici non ravvisan più.
Oh! già mi par che, la fortuna stanca
     Di tante preci, il dono ha bello e pronto.
     — Ma che? Se mi vuoi dar carte di Banca
     Aggiunger ti conviene anche lo sconto.
     Toh! Toh! Che è? Dove tu corri, o Dea?
     Son contento.... dà qui... ahi! sorte rea! —
La sorte ambizioso, o tu, condanni,
     E non la sete, che ti brucia il labbro?
     A gran vol preparar vuoi sempre i vanni,
     E d’ogni danno tuo tu sol sei fabbro,
     Raffrena, oh! deh! raffrena il tuo disio,
     Chè, a chi vuol troppo, tutto nega Iddio.
Se far, donne, volete conoscenza
     D’ottava meraviglia a questo mondo,
     È d’uopo aver tantin di pazienza
     Dei miei versi soffrire il grave pondo;
     Ma sentirete cose affatto nuove,
     Andiam, senza preamboli, alle prove.
Donna, ragazze care, è il mio soggetto,
     E vuol che ognun l’appelli signorina;
     Mezzo secol d’età, e poco ho detto,
     Che supplir ci potrei qualche decina,
     E pretende che sia tra il numer’una
     Delle belle, che il mondo in sè raduna.