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Un’insegna a bandiera illumina il palazzo di blu e disegna le finestre chiuse come fossero finte. La gente passeggia poco lì davanti, ogni tanto si ferma qualche macchina, si apre il finestrino, qualcuno guarda dentro, si chiede quanto costa o se c’è il bagno in camera. Le donne delle pulizie sono bionde, sulla cinquantina, cantano vecchie canzoni di nostalgia che si perdono nel rumore dei tram. La fermata si trova proprio davanti all’ingresso, salgono e scendono poche persone a viso aperto, solo ora ritrovo un vecchio cinema. Vicino a me un tipo dorme dall’inizio, non si può fumare e il film è noioso. Bevo una coca, ma non ho voglia di andare, fuori piove e dovrei tornare in albergo. Mentre penso a niente mi accorgo che una grande ceramica fa da cornice al lato basso dello schermo, scene di guerra, Indiani, mandrie che si rincorrono in una prateria. I miei vestiti dentro quell’armadio, lo spazzolino da denti nel bicchiere di plastica sterile, il rasoio elettrico ancora attaccato alla spina, i pensieri sul cuscino e la pioggia che mi separa cinicamente dal letto, ciò che è dentro di noi sta sempre più lontano. Sono già le otto e sono ancora in mezzo a questo secondo tempo.





-continua-