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amico e ispiratore; alle arti aprì nei conventi una scuola, alle lettere attese egli stesso, nè i poeti cacciò dalla repubblica e dal tempio.

Nelle Poesie di Fra Girolamo è singolarmente manifesta l’imitazione del Petrarca; meno aperto, lo studio di Dante. Il sonetto per l’Ascensione del Signore è come una parodia di quello in cui messer Francesco si dolse del dipartire di Laura da questa terra; e nelle tre prime canzoni, che sono forse i suoi componimenti più giovanili, non è quasi parola o emistichio, che non sia del canzoniere petrarchesco. Non è quindi maraviglia se da queste fonti derivasse il Ferrarese una vena tutta toscana di versi, anco prima che bevesse alle vive sorgenti del nostro popolo. La sua lingua ha più le pecche comuni del tempo, che le tracce del dialetto nativo: voglio dire, che pochissime parole hanno la ruvidezza de’ parlari lombardi (quali aziale, agiaziare, on, parascito, vargare, quatrosei, tri, per acciaro, agghiacciare, o, parasito, varcare, ventiquattro, tre), mentre molte serbano le maternali forme latine, che ai quattrocentisti della stessa Firenze piacquero tanto, come le stampe di quel secolo e i codici manoscritti ci danno a vedere. E tanto è ciò vero, che le laudi del Savonarola, miste a quelle dei toscani, e dell’elegantissimo fra i toscani del quattrocento Feo Belcari, nulla perdono al paragone: ed ella