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viii

chè già era in Firenze l’usanza di cantarle nelle chiese, e la istituzione dei Laudesi risaliva al milledugento: ma il Savonarola si valse del pio costume a frenarne uno reo, che allora nasceva e cresceva all’ombra de’ Medici; dico quello d’andare per la citta, con carri o trionfi, a empir le orecchie di voluttuose canzoni. Orgie pagane, colle quali riuscì pur troppo di soffocare il grido della morente libertà: arte perfida, che il Frate di San Marco aveva già segnalata ai ciechi Fiorentini con quelle parole: “Il tiranno occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè pensi a sè, e non a lui!„ Quello che divenisse in poco d’ora la città per opera del Savonarola, testimoni di veduta lo scrissero; e i carnevali santificati con le processioni e le danze de’ fanciulli, e coll’abbruciar degli anatemi, sono a notizia di tutti; chè vivamente gli descrisse Girolamo Benivieni, commentando la canzone: Viva ne’ nostri cor, viva, o Fiorenza, Viva Cristo il tuo re. Chi disse barbarie quei falò, perchè le fiamme consumarono pitture e codici, non ebbe in mente che nella riforma del Frate entravano le Arti belle e le Lettere; alle quali l’austero uomo, altro ministero non consentiva, che quello di rendere gli uomini virtuosi. Se ai mali estremi portò estremi rimedi, potrà incolparsi di zelo; ma nell’intendimento non errò. E fu agli artisti e ai letterati