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22 | capitolo sesto |
egli ne dubitò, credendo che io frodar lo volessi di quell’oro. Intanto Gitone stavasi tristo al par di me, e il dolor suo accresceva la mia mestizia; ma ciò che più mi pungea, era la perquisizione che di noi faceasi; e avvertitone Ascilto, egli non turbossene gran fatto, perchè si era bellamente cavato d’intrico; oltredichè egli era persuaso che noi fossimo sicuri, sì perchè non eravam conosciuti, come perchè nessun ci avea visti. Tuttavia fingemmo di trovarci ammalati, onde senza sospetto restar qualche giorno all’albergo: ma la mancanza di denaro fe’ sortirci più presto di quel che volessimo, e l’urgente necessità ci costrinse a vendere i nostri furti.
Sull’imbrunir della sera vennimo in piazza,15 dove scorgemmo quantità di cose vendibili, non veramente preziose, ma però tali, che l’oscurità potesse meglio coprirne la mala provenienza. Di sì propizia occasione noi pure ci approfittammo, recando la rapita valdrappa, e appostatici ad un angolo ne esponemmo una falda, acciò la bellezza potesse per avventura attirar compratori.
Poco dopo un villano, ch’io conobbi di vista, in compagnia di una donnicciuola si avvicinò, e attentamente si mise ad osservar la valdrappa. Ascilto dal canto suo fissò gli occhi sulle spalle del compratore, e improvvisamente smarritosi ammutolì. Io parimenti non senza un po’ di commozione osservai costui, poichè parevami esser quel desso, che avea nel bosco trovato l’abito, siccome egli era diffatto. Ma Ascilto non fidandosi agli occhi suoi, e per nulla fare scioccamente, a lui dapprima qual compratore si appressò, e dalle spalle un lembo sollevandogli della veste con maggior diligenza l’esaminò. Vedi strano scherzo della fortuna! L’uom di campagna ancor non avea le curiose mani entro le cuciture introdotto, all’incontro come uno straccio d’accattone, e quasi vergognandosene, la vendea.