Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/74

18 capitolo quinto


Inutilmente Ascilto, cammin facendo, tentò cambiar l’animo di Licurgo, cui non commossero nè le preghiere, nè l'amor, nè le lagrime. Ma il buon camerata risolse di liberarci, e sdegnato della ostinazion di Licurgo ricusò di dormir seco lui, e così ebbe agio di eseguire ciò che avea meditato.

Quando tutti eran sepolti nel sonno, Ascilto incaricatosi delle nostre bisacce, e attraversando per certa rottura ch’egli avea già vista nel muro, giunse di buon mattino al villaggio, dove senza ostacolo entrò e venne alla camera nostra, che i guardiani tenevano chiusa. Non fu però difficil di aprirla, perchè dì legno era l'uscio, e con un ferro potè spalancarlo; onde al cadere del chiavistello noi ci svegliammo, giacchè ad onta dello infortunio ce ne dormivamo saporitamente.

Anche i guardiani, dopo aver molto vegliato, dormivano profondamente, di maniera che noi soli fummo i destati. Entrato Ascilto, quel che avea fatto per noi raccontò breve breve, nè vi era bisogno che dicesse di più. Intanto che in fretta ci vestivamo, mi saltò in pensiero di ammazzare i guardiani, e di saccheggiare la villa. Comunicai il progetto ad Ascilto, e gli piacque, ma ci diè modo di eseguirlo senza spargimento di sangue; perchè conoscendo egli tutti i pertugi della casa, ci condusse alla guardaroba, che egli aprì, e da cui levammo quanto eravi di più prezioso; indi partimmo, che ancora era l’alba, e lasciandoci a’ fianchi la via maestra, non ci arrestammo sino a che non ci parve di esser sicuri.