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giurisdizione violata, e diverbj | 11 |
Mal soffrendo Ascilto una tal villania, bruscamente senza dir nulla sortì. Questa sì improvvisa partenza male mi presagì, perchè io conosceva la violenza dell’animo suo, e lo sregolato suo amor per Gitone. Perciò gli tenni dietro, onde osservar che facesse, e poterglimi opporre: ma egli mi sfuggì dagli occhi, e indarno lungo tempo di poi lo andai cercando.
Dopo scorsa tutta la città rivenni all’alloggio, dove finalmente tra i più ingenui baci mi annodai con strettissimi abbracciamenti al fanciullo, e ne presi invidiabil solazzo. Nè tutto ancora compiuto era, quando Ascilto furtivamente avvicinandosi all’uscio, poi spalancatolo con grandissimo impeto, trovommi in quella scherzevole positura. Perlocchè empiendo la stanza di risate e di batter di mani, e strappando il lenzuolo, che ne copria, che fai tu, mi disse, o fratel modestissimo? Perchè sotto una sola coltre ambidue? Nè restossene alle parole soltanto, ma sciolta la cigna della sua bisaccia diessi a staffilarne robustamente, dicendo al tempo stesso con molta insolenza: impara ora a rifiutarmi la comunanza.
La inaspettata sorpresa mi costrinse a dissimulare l’ingiuria e le sferzate: presi dunque il partito di riderne, e fu cosa prudente, altrimenti avrei dovuto battermi col rivale. Da questa finta ilarità la collera fu sedata, sicchè egli pure ne rise, e dissemi poi: tu, Encolpo, immerso nelle delizie, non pensi che manchiam di denaro, e che le suppellettili che ci rimangono non hanno nessun valore. A questi giorni estivi la città non produce nulla, e la campagna sarà più allegra: andiamo a trovarvi gli amici.