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10 capitolo terzo


Ascilto mostrò d’infuriarsi, e con gesti più vibrati, e con voce maggior della mia, nè ti stai, zitto, mi disse, o gladiator da bordello, rifiuto de’ trabocchetti dell’anfiteatro,11 ne’ quali uccisor del tuo ospite dovevi cadere? Nè ti stai zitto, o assalitore notturno, impotente a più combattere con donna di garbo, sebben c’impiegassi ogni tua forza? A cui mi son io nell’orto prestato per quell’uso medesimo, al qual poc’anzi qui nell’albergo fei servir quel ragazzo?

Per ciò adunque, io soggiunsi, ti sottraesti ai discorsi del maestro?

Ed egli: che doveva io fare colà, o bagordo, poi che io mi morìa di fame? Avre’ io dato retta a chiacchere più inutili de’ rottami del vetro, delle spiegazioni dei sogni? Tu sì, per dio, sei più vile di me, che per buscarti una cena hai lodato un poeta. E tra questi vituperj scoppiammo a ridere, e tranquillamente passammo ad altre cose.

Io poi non sapendomi dar pace dell’affronto, così gli dissi: ben, vedi, Ascilto, che noi non potiamo accordarci più insieme: dividiamoci adunque il nostro comun fardelletto, e cerchiamo di guadagnarci il vitto ciascun di noi separatamente. Tu se’ letterato, ed io per non pregiudicare ai tuoi vantaggi eserciterò qualche altra cosa: altrimenti noi avremo ogni dì mille discordie, e farem parlarne tutto il paese.

Ascilto accettò la proposizione: oggi però, disse egli, siccome in qualità di scolari abbiamo promesso d’intervenire ad una cena, non perdiam l’allegria di questa notte: dimani poi, giacchè sì ti piace, troverommi un altro alloggio, e un altro Gitone.

Io risposi che non bisognava differire una cosa quando la si è risolta. Ad un separamento sì precipitoso mi stimolava il piacer mio, ed era gran tempo che io desiderava allontanarmi una guardia importuna, onde rinnovare col mio Gitone gli antichi dritti.