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CAPITOLO TERZO
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giurisdizione violata, e diverbj.
Come ebbi corsa mezza la città, mi abbattei in Gitone, il qual vidi trammezzo alla nebbia star sull’angolo della strada presso la porta dell’alloggio, dove entrai tostamente. Chiestogli cosa ci avesse il mio camerata preparato da pranzo, il ragazzo si gittò sul letto, asciugandosi col pollice le dirotte sue lagrime. Io commosso a tal vista il richiesi di ciò che gli fosse avvenuto, ed egli, tardi veramente, e quasi per forza dopo aver io mischiate le minacce alle preci, così mi disse: codesto tuo, o camerata, o fratel ch’egli sia, arrivatosi a casa poco prima di te mi si mise intorno per violare il pudor mio, e avendo io cacciato dei strilli, e’ cavò la spada, e mi disse: se tu sei Lucrezia, hai pur trovato un Tarquinio.
In ascoltar questo fatto io balzai agli occhi di Ascilto dicendogli: Or che rispondi tu, o infamia de’ prostituti, che nulla hai di puro, nemmanco il fiato?