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8 | capitolo secondo |
cia, e fuggendo attraversai quel postribolo, quand’ecco in sulla uscita mi incontrai con Ascilto, che faticatissimo era e mezzo morto. Stimando io che la vecchierella medesima qui lo avesse diretto, il salutai sorridendo, e gli chiesi come in luogo sì infame si ritrovasse. Egli asciugatosi il sudor con le mani rispose: oh se tu sapessi quel che mi avvenne!
Che v’ha di nuovo? io replicai.
Ed egli mezzo isvenuto riprese: correndo io tutta la città per trovare ove diavolo avessimo lasciata la locanda, mi abbattei in un vecchio, il quale molto cortesemente si esibì di condurmici; e attraversando per oscurissimi e torti viottoli qui mi ridusse, dove messo fuora il peculio diessi a cercarmi piacere. La sgualdrina, che è costì, aveva già esatto il nolo della camera; costui mi avea già posto le mani addosso, e se io non era il più forte, avrei dovuto soccombere.
Mentre Ascilto mi esponea l’avventura, il vecchio medesimo accompagnato da bella donna ci raggiunse, e ad Ascilto volgendosi pregollo di entrare in casa, assicurandolo non esservi nulla a temere, e che anzi di paziente in agente sarebbesi almeno convertito. Dall’altra parte la donna istigava me a seguirla. Noi dunque andammo con essi, e giunti tra quei cartelloni, assai gente d’ambo i sessi vedemmo insiem divertirsi per le camere, sì che mi parea avesser tutti bevuto un filtro amoroso.
Appena fummo veduti, costoro con isfacciata puttanerìa fecer di tutto per averci in mezzo, ed uno di essi montato sino al bellico assaltò Ascilto, e distesolo sur un letto tentò di romper seco una lancia: ma volato io al soccorso, e unite le forze nostre, delusimo la di lui molestia. Ascilto sortì, e fuggissene, me lasciando esposto alla libidine di costoro; ma io più vigoroso e più cauto seppi liberarmene.