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aver pure qualche vantaggio, come il mio ha qualche discapito, non altrimenti a mio giudizio potrebbe con lode adottarsi, che imitando Agnolo da Firenzuola, che nel suo volgarizzamento di Apuleio mise se medesimo in luogo del Protagonista, e le città e i costumi toscani in luogo de’ greci, ove ben gli parve, introdusse, mantenendo però tutto quello che era favola e testura di quell’aureo romanzo, sicchè di copia si fece testo, e giusti e larghissimi applausi potè riscuoterne.
Io non ho voluto escludere dalla mia versione i frammenti Nodoziani, benchè tanto dubbio tuttavia rimanga della loro autenticità. Essi certamente riempiono molte lacune dell’antico testo, legano le parti, che giacean separate, conciliano i fatti, e la serie della favola ne rimane passabilmente bene ordinata.
Forse l’opera di Petronio era in origine divisa in libri. Il Burmanno, ed altri prima di lui si avvisarono di dividerla in capitoli, ma con tanta abbondanza, e con sì poca necessità, che ben vi si vede la minutezza gramaticale. Io ho creduto di allontanarmene, e giacchè nessun Codice ha indicata la division primitiva de’ libri ho prescelto di separar l’opera in tanti capitoli, quanti la natural serie e giacitura delle cose mi è sembrato esigerne, e ne ho con breve cenno indicato il contenuto.
Finalmente sebben mi sembrasse che la chiarezza della mia traduzione escludesse ogni bisogno di commenti e di annotazioni, e che fosse un bel contrapposto alle tre mila pagine in quarto stampate dal Burmanno in carattere minutissimo, un testo semplice e non interrotto da interpretazioni e da glosse, e in pochi fogli ristretto, tuttavia per non parer nemico del tutto di que’ schiarimenti che alcuno potesse desiderare, e per non essere tacciato di pigrezza, o di austero contegno, ho sparso qua e là alcune noterelle, anche a fine di far conoscere o le applicazioni dell’autore a qualche passo di alcuno scrittor più antico, o l’uniformità de’ costumi