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a quelli di Meibomio, Petronio viene dal consenso universale de’ letterati, se tutt’al più se n’eccettui l’Uezio (che in una sua lettera a Grevio, tolse a biasimarlo) collocato fra i migliori scrittori della latinità. Giusto Lipsio lo chiama auctor purissimae impuritatis: lo Scioppio, tanto il pregiava, che scrisse la sua Sirenes Petroniana seu elegantiores phrases ex Petronio collectae; il Walchio nella sua storia critica della lingua latina lo colloca alla metà del secol d’argento, e ne esalta lo stile come molto elegante: il P. Beverini gli accordò il triumvirato della lingua latina insieme a Plauto ed a Terenzio in quella sua applaudita raccolta che ha per titolo: Selectiores dicendi formulae, e per non riportar qui il giudizio che tutti i grandi scrittori ne hanno dato, basta il far cenno, che più di trenta uomini insigni han preso a commentarlo, interpretarlo, ed ischiarirlo, e che tante edizioni se ne son fatte, che riescirebbe quasi impossibile il noverarle.

Giova rammemorare però che pochi e affatto distaccati frammenti se ne conoscevano, quando circa l’anno 1662 Marino Statlejo o Slatilio Dalmatino (e non già Pietro Petit come ingiustamente pretendono i signori Chaudon e Delandine compilatori del Nuovo Dizionario Storico stampato recentemente a Lione) scoperse a Traù in casa di Niccolò Cippico amico suo un codice assai più perfetto, come quello che conteneva la cena di Trimalcione, uno de’ più belli episodj di queste Satire; e trattone copia a Padova il mandò, ove fu stampato nell’anno medesimo. Adriano Valesio francese, e Gio. Cristoforo Wagenselio tedesco, giudicarono questo frammento opera dello Statilio medesimo, e nel 1666 lo impugnarono con veemente acrimonia; ma lo Statilio sì ben difese e con tanto vigore l’opera di Petronio, che per giudizj formalmente emanati, e per la successiva generale sentenza de’ critici, il frammento dalmatino non incontrò eccezione ulteriore. Non perciò potea dirsi