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gendo in qualche modo il mal digesto suo raziocinio, finì con generosa ira rimproverandolo che sin anco a lui fosse ignoto custodirsi in Bologna un intero Petronio, applaudendo a sè medesimo che di Lubecca venuto era per fargli conoscere questa gemma. A siffatto annuncio il medico rimase attonito, e andava alla meglio iscusandosi dell’assoluta sua ignoranza, e dicendo parergli impossibile non aver egli saputo, nè sapere che alcun Bolognese il sapesse, che un codice di Petronio sì bello e raro, com’ei dicea, nella sua patria si conservasse. Il so ben io, replicò Meibomio; e trattosi di tasca il libro, donde cotal notizia avea ripescato, sotto agli occhi del Bolognese lo squadernò, e col dito accennandogli, gravemente gli disse, leggete. Come il medico ebbe letto alcuni periodi, ove delle rarità di Bologna quel libro parlava, e che giunse alle parole Bononiae videtur Petronius integer, qui, qui, con voce fortissima e vittoriosa, gridò il tedesco, qui vi aspettava. Che ve ne par egli? E voi volete dettare in Cattedra agli stranieri, mentre le cose vostre non conoscete? Ed io ho ad attraversar fiumi e monti per venirvene ad istruire? e una dozzina di siffatte esclamazioni infilzò con orgoglioso compiacimento. Il Bolognese, facendo fatica a tenersi le risa, s’infinse mortificato, e gli rispose: che v’ho io a dire? Il libro vostro non mente; voi v’avete ragione, io me ne era scordato, abbiate pazienza ch’io mi vesta, onde accompagnarvi tosto a visitare l’intero Petronio da voi discoperto. E chiamata la fantesca, fecesi recar la parrucca, le scarpe, e la zimarra, e abbigliatosi in un batter d’occhio, prese per mano il viaggiatore, dicendogli: venite meco. A costui sprizzava fuor degli occhi l’allegria, e benchè urbanissimo fosse e rispettoso, tuttavia non sapea frenarsi in modo, che il medico non si accorgesse del suo pavoneggiarsi e boriare, vedendo lui così incaponito, com’e’ pareva. Finalmente egli arrivò alla chiesa cattedrale, e chiamatovi lo sagrestano, gli