avventura altri ascoltandolo non gli rapisse l’onore della scoperta, e sì gli disse: egli è gran tempo, mio caro amico, che io contava di venire in Italia, sì per esser ella il serbatoio e la nodrice delle scíenze e delle arti, come per visitar di persona gli uomini insigni ch’ella produce, e voi principalmente e questa vostra chiarissima patria, madre feconda di altissimi ingegni; ma forse nè quest’anno, nè l’altro avrei per più ragioni potuto il mio desiderio appagare, se una causa importantissima non mi vi determinava senz’altro ritardo. E qui si fece a narrargli il sommo onore in che teneva Petronio Arbitro: il comun lagno de’ letterati, che le sue Satire avessero dal tempo tanta ingiuria patito: il vantaggio che dall’averle complete ridonderebbe alla latinità: e la gloria invidiabile, che otterrebbe colui, che fosse tanto fortunato di rinvenire un codice nè dal tempo, nè dalla cattivezza o trascuranza degli uomini lacerato e logoro. Il dotto Bolognese approvava all’intutto il discorso del buon Tedesco, e i propri voti aggiungea, onde sì degno scrittore potesse aversi come in origine deve essere stato. Allora Meibomio stringendosi nelle spalle, così riprese a dire: egli è pur vero, mio caro, che le ricchezze e i beni domestici sono dalla comune degli uomini men custoditi e pregiati di que’ che sono a più gran distanza, e al conseguimento de’ quali sono maggiori gli ostacoli. Ed io non vi nascondo la meraviglia anzi la indignazione, che mi ha presa contra voi Bolognesi, che tanta fama pel mondo spargete di dottrina e di sagacità, i quali avendo in vostra casa quel tesoro, che in nessun’altra parte della terra si è fino ad ora trovato giammai, non solamente a’ letterati d’Italia ed agli stranieri non ne fate parte, ma voi stessi nol conoscete; perlocchè non paiavi strano che io non vi tenga per que’ sapientoni che il mondo vi dice. Voleva il medico replicar per le rime al Tedesco, ma questi non dandogli tempo, e con certi suoi giri di parole correg-