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erano pressochè tutti monaci, così quis non credat prurientes illos nebulones, qui in pubblico magnam pietatis speciem mentiebantur, intra claustra sua lascivissimum quemque scriptorem assidue versasse?
Questa veramente un poco maligna osservazione ad un’altra il conduce, relativa alle lacune, che in tutti i codici di Petronio finor conosciuti trovansi rimaste. Io ho accennato di sopra, ciò forse procedere dal non esserci pervenuto lo scritto originale che l’autore mandò a Nerone, il quale potrebbe per odio averlo distrutto, ma soltanto quel primo abbozzo, che ne doveva aver preparato. Diffatto la maggior parte degli scrittori, dopo aver disposti i materiali necessari alla formazione della loro opera, e averne stabilite le divisioni, cominciano per iscriverla con quella rapidità che è figlia della mente calda e piena del suo oggetto, senza troppo curarsi o della lingua, o dello stile, o di alcun voto che per qualche inatteso ostacolo convien lasciarvi, e compiuta che l’abbiano, e grossamente pulita, la rifanno da capo, sia scrivendola essi stessi, sìa ad altri dettandola, e in questa occasione modificano, correggono, perfezionano, e la loro fatica riducono nel modo in cui è poi esposta alla luce, lasciando il primitivo autografo originale con que’ difetti, che non si veggono nel secondo, e molto meno nel terzo, se questo pure fu necessario. Il signor di Voltaire ha invece creduto che tali lacune procedessero dal non essere altrimenti questa l’opera originale di Petronio, ma dall’esserne semplicemente un estratto, locchè non discorda gran fatto dal mio parere. Il Burmanno però vuole che alla turpe negligenza di que’ monaci oziosi (son sue parole) abbiasi da attribuire che non intero ci sia giunto il Petronio, ma quelle parti soltanto, quae monachis tentigine ruptis, lasciviae et libidinosae proterviae manifestissimis argumentis blandiebantur. Comunque ciò sia e qualunque perfezionamento abbia di mano in mano ottenuto questo ele-