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224 | la novella della matrona efesina |
che pure di questo fatto; protestando (affermando) tutti gli ordini delle persone unico al mondo essere quello specchio di pudicizia ed amore che così risplendeva.
In questo mezzo tempo il governatore della provincia avea fatto impendere alle forche alquanti ladroni lunghesso quel luoghicciuolo medesimo, nel quale stava la donna piangendo sul morto. Ora era stato ordinato la notte appresso un soldato a guardia di quelle forche; non forse alcuno ne levasse i corpi per loro dar sepoltura. Costui avendo posto mente al lume, che in uno de’ monumenti splendea più chiaro, e udito il nicchiarsi che facea la donna piangendo; come porta il vezzo degli uomini, entrò in desiderio di sapere quello che fosse ciò, e chi sel facesse. Si mise giù pertanto nel monimento, e veduta la donna bellissima, al primo, a vedere un mostro od una larva d’inferno, turbato si resse; appresso come gli venne veduto il cadavere posto, e ragguardate le lagrime e la faccia di lei solcata dalle ugne, indovinando (quello che era) la donna dal dolore del morto essere spasimata (non trovar luogo), le arrecò laggiù quel po’ di cenetta che avea; e piangendo lei, la cominciò confortare. Non volesse menar più in lungo quell’inutil dolore, nè trassinar il petto con un (quel) gemito, che a nulla le gioverebbe; tutti gli uomini convenir venire a questo, come anche al medesimo domicilio; e di questa fatta altri conforti, da ricondurne a sanità gli animi esulcerati. Ma la donna trafitta da quella ignota (ignota consolatione percussa) consolazione, rimise mano a fendersi il petto più duramente (fieramente), e svellendosi i capelli, li pose addosso al cadavere. Ma non per questo si partì il soldato anzi coi conforti medesimi si provò di condurre a mangiare la fanticella (mulierculæ. Intendo della fante): finchè essa certamente da lui vinta (soggiogata) all’odore del vino, ed alla pietosa profferta cominciò a stender la mano. Così dal cibo e dalla bevanda rifo-