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vano per entro anche al dì d’oggi? Se il Satyricon è appunto la storia delle ribalderie del Principe sotto il nome di sbarbati e di femmine, perchè non la crederemo l’opera che Tacito attribuisce a Petronio? E perchè il Burmanno e l’Ignarra, quando trattasi di tacciare d’immaginario e mentito il nome di Petronio come autor delle Satire, attengonsi alla testimonianza di Tacito e la rifiutano poi quando trattasi di accordargli il merito di averle scritte? Quando una opinione è chiara, conveniente, e sufficientemente provata e probabile, perchè hassi a forzar la ragione per rifiutarla e correr dietro a chimere ed a sogni?

Ma qui si fa innanzi il signor Ignarra, e ponendosi alla testa di tutti i commentatori, interpreti, e critici di Petronio, dice egli il perchè. Perchè Petronio Autor delle Satire non visse altrimenti al tempo di Nerone, ma a quello degli Antonini, e probabilmente di Commodo. Ecco le sue ragioni, che trovansi tutte nell’indicata opera de Palaestra Neapolitana, a pag. 200 e seguenti. Egli nota che Ermero dice (nel Capo 15 della mia traduzione): lo servii quarant’anni, pur nessun seppe, se io mi fossi libero o schiavo. Venni fanciullo ancor chiamato in questa colonia, pria ch’Ella fosse Basilica, cioè Augusta, o Imperiale, come il nostro erudito ha riccamente provato. Dunque (dice a ragione il sig. Ignarra) quando l’Autore scriveva, Napoli, che è la colonia sopra indicata, doveva essere recentemente elevata al rango di Colonia Augusta, ossia di Città Romana. Ma Napoli non ebbe questo favore che dopo i tempi di Adriano, e forse a quelli di Antonino Pio; dunque l’Autore non è il Petronio di Tacito, e non è a Nerone, ch’egli ha voluto far onta. Osserva oltre a ciò che Petronio si lagna di quella vaniloquenza testè recata dall’Asia, onde il bello stile era caduto, e trova verosimile che il testè sia applicabile ad Apollonio chiamato a Roma da Antonino con tutta quella sua caterva di sofisti, che tanta