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uno schiavo a rapportare che Petronio era tutto di Scevino: non gli è data difesa: la famiglia quasi tutta rapita in prigione. Cesare per sorte era in Terra di Lavoro; e Petronio, giunto a Cuma, vi fu ritenuto; ma non corse a torsi la vita: fecesi tagliar le vene, poi legare, poi iscioglierle a sua posta, e disse alli amici parole non gravi, nè da riportarne lode di costante: e fecesi leggere non l’immortalità dell’anima non precetti di sapienti, ma versi piacevoli: ad alcuni donò: altri fe’ bastonare: andò fuori, dormì, acciò la morte, benchè forzata, paresse naturale; non come molti che moriano, adulò nel testamento Nerone, o Tigellino, o altro potente; ma al Principe mandò scritte le sue ribalderie con tutte le sue disoneste foggie, sotto nome di sbarbati e di femmine, e le sigillò e ruppe l’anello, perchè non fosse adoperato in danno d’altri. Maravigliandosi Nerone in che modo le notturne invenzioni si risapessono, si ricordò che Silia, donna conosciuta come moglie di un senatore, e sua, tolta in ogni sporcizia, era tutta di Petronio: e cacciolla in esiglio per odio, ma sotto colore di aver ridetto quanto avea veduto e patito.„

Plinio1 attribuisce la morte di questo cortigiano ad una ricchissima tazza di pietra orientale, di cui venne vaghezza a Nerone di farsi erede.

Dopo un racconto così circostanziato e preciso, chi crederebbe che uomini dottissimi non solo abbian conteso al nostro Petronio il merito di aver composte queste Satire, ma fin anco lo abbiano creduto un nome immaginario, e mentito?

Quest’ultima opmione fu lanciata leggermente da Pietro Burmanno,2 come semplicissima sua congettura. Egli osserva che alcuni libri in luogo di portare

  1. Loc. cit.
  2. Nella prefazione alla ricchissima sua edizione di Petronio