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128 | capitolo ventesimoterzo |
pena: e quando sarem giunti al porto, senza cagionare verun sospetto, vi farò trasportare come mio equipaggio.
E così, rispos’io, legarci come marmi, cui non soglia il ventre dare verun fastidio, o come gente non usa a sternutar, nè a russare? o forse per essere a me ben riuscito una volta questo genere di furberia? Ma supponi che potessimo resister così legati per tutto un giorno, che farem noi se una calma, o una contraria fortuna, ci ritardasse soverchiamente? Le vesti lungamente annodate corrodonsi alle piegature, e le sopraccarte a lungo andare consumansi. Giovani non anco avvezzi alle fatiche, dovrem come statue sopportare legami, e soppanni? Bisogna studiare una miglior via di salvarci. Sentite ciò che io ho pensato. Eumolpione come uomo di lettere porta con se dell’inchiostro. Noi dunque con questo mezzo cambierem colore dai capegli sino alle ugne; e così, noi, come schiavi mori, gli staremo allegramente d’intorno senza l’affanno de’ castighi, e col cambiato colore ne imporremo ai nemici nostri.
Perchè non dici tu, ripigliò Gitone, che ne circoncida, onde farci passar per Giudei, o ci fori le orecchie a imitazion degli Arabi, o imbiancarci la faccia onde parer uomini della Gallia? come se questo solo cangiar di colore possa pure cangiar di figura, e non bisogni combinar molte cose, e non traspaia la falsità dal linguaggio? Ma fa conto che possa durar lungamente siffatto impastricciamento del volto; fingi che nè gli spruzzi dell’acqua possano lasciar qualche macchia sul corpo, nè lo inchiostro colar sull’abito, locchè tuttavia accade di frequente anche senza che vi si mischi veruna lega, dimmi, potrem noi forse ridurre i nostri labbri a sì enorme gonfiezza, forse arricciar col ferro i capegli, forse marcarci la fronte di cicatrici, forse arrotondarci le coscie, forse strisciar camminando i talloni, forse aggiustarci la barba alla foggia straniera? Un colore composto ad arte ben guasta