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126 | capitolo ventesimoterzo |
per gli Iddii e le Dee che nulla sapeva egli dell’occorso, e che non avea colpa alcuna in quel contrattempo, ma con animo schiettissimo e di buona fede ci avea condotti per compagni su quel naviglio, del quale già da qualche tempo contava egli valersi. Ma cosa son queste insidie? ei richiese: qual altro Annibale naviga insieme a noi? Lica di Taranto è uomo saviissimo, e non solo di questa nave, ch’egli comanda, è padrone, ma anche di alcuni fondi, e di una casa di negozio, di cui trasferisce il carico su per le piazze. Questi è il Ciclope, il gran pirata, che ci ha imbarcati: oltre a lui havvi Trifena bellissima sopra tutte le donne, la quale va qua e là viaggiando per suo diporto.
E costoro appunto, disse Gitone, son quelli che noi fuggiamo; e al tempo stesso rapidamente espose allo spaventato Eumolpione la cagione degli odj, e il sovrastante pericolo.
Egli confuso e bisognoso di consiglio, volle che ciascun proponesse il proprio parere, e disse: Fate conto che noi ci trovassimo capitati nell’antro del Ciclope: è forza cercar qualche scampo, a meno che non preferissimo di naufragare, e così liberarci d’ogni pericolo.
Al contrario, rispose Gitone, dì al piloto, che addrizzi la nave a qualche porto, e promettigli un regalo, e dagli ad intendere che un amico tuo mal sostenendo il mare trovasi in agonia. Tu potrai dar vigore a questa finzione sì colle lagrime, come colla confusion del tuo volto, onde il piloto da pietà mosso abbia ad esaudirti.
Eumolpione osservò che ciò non potea farsi, perchè difficilmente le grosse navi entrano ne’ porti, nè sarebbe verisimile che così presto fosse venuto meno un de’ viaggianti. Aggiugni che forse Lica per creanza vorrà veder l’ammalato. Or vedi se convenga di essere visitato dal padrone, da cui si fugge. Ma poni che possa