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celebrati nell’opera sua degli uomini illustri, da cui gli scrittori francesi traggono quasi tutti argomento per collocarvi anche l’autor nostro. Ma perchè i monumenti della famiglia Romana sono di più antica data di quelli dell’altra famiglia, così, mancando più valevoli obiezioni, io stimo che a quella il nostro Arbitro debba appartenere.

Che egli avesse il prenome di Tito datogli da Tacito, e non quel di Gajo attribuitogli da Plinio1, a me sembra egualmente sicuro. Imperocchè, concesso che egli sia il Petronio rammentato da Tacito nel sedicesimo de’ suoi annali, come una delle molte vittime della crudeltà di Nerone, e Plinio accordandosi con Tacito sulla morte inflittagli dalla ferocia di quel Principe, è da credersi piuttosto alla esattezza dello storico, che a quella del naturalista, e per conseguenza doverglisi mantenere il prenome di Tito. Cessa poi ogni dubbio su questa denominazione, ove riflettasi che quasi tutti i codici, dai quali si è tratta la presente opera, portano in fronte la sigla T. nella iscrizione

T. Petronii Arbitri Satyricon.

Il cognome di Arbitro ha occasionato tra i critici assai più discussioni ed indagini che il prenome. Malamente Pier Daniele Aurelio in una sua prefazione pretende che Tacito gli attribuisca il cognome di Turpiliano. Altro è presso Tacito il Petronio Turpiliano, altro è il Petronio Arbitro. Il Turpiliano fu console nell’anno 813 di Roma insieme a C. Giunio Cesonio Peto, e ci resta di essi la legge Giunia Petronia, che può riscontrarsi nel libro 24. Digesto de manomissionibus. Costui morì sotto Galba, come si ha da Tacito nel primo libro delle sue storie, e l’altro morì sotto Nerone, come ci riferisce egli stesso nel sedicesimo degli annali. Tuttavia Tacito, parlando dell’Arbitro, dice ch’ei fu

  1. Hist. Natur. lib. 37, cap. 2