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104 capitolo decimonono

Io non so, diss’io sospirando, come la povertà sia sorella del buon ingegno. Ben a ragione, rispose il vecchio, la sorte compiangi de’ letterati.

Ah, non è questo, diss’io, il motivo de’ miei sospiri; altra cagione ho di dolermi e ben più grave: e al tempo stesso, giusta l’umana inclinazione di confidare altrui le proprie sciagure, gli esposi il mio caso, ed esagerai soprattutto la perfidia di Ascilto, sclamando fra questi gemiti: ben vorrei che codesto nemico della tua voluttà fosse tanto innocente, che iscusar si potesse: ma egli è un provetto ladrone, e ne sa più de’ ruffiani.


Il vecchio veggendo questa sincerità diessi a confortarmi, e per mitigare la mia tristezza mi raccontò quello, che in altri tempi era a lui stesso avvenuto in genere di amore.

Condotto io in Asia, diss’egli, da un Questore presso cui era impiegato, presi in Pergamo un alloggio, dove volentieri abitava non solo per gli addobbi de’ gabinetti, ma anche pel vaghissimo figlio dell’ospite, a cui studiai di esser amante senza che il padre ne sospettasse. Imperocchè ogni volta che ragionavasi a pranzo sull’uso de’ bei ragazzi, io montava in tanta collera, e con tanta severa austerità mi dolea d’insudiciarmi le orecchie di quelle oscenità, che la madre principalmente riguardavami come un filosofo. Diffatto io cominciai per condurre il giovinetto alla scuola, io regolare i suoi studj, io insegnargli, e metterlo in avvertenza che non s’introducesse nella casa alcun predator del suo corpo.

Un dì trovandoci a caso sdraiati nel tinello, perchè essendo giorno festivo non ci era studio, e la molta gozzoviglia avendoci messo in pigrizia di partircene, io m’accorsi verso la mezza notte che il ragazzo era desto: ond’io così sottovoce bisbigliando feci questa