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94 | capitolo decimosettimo |
e più felici, onde nessun dicesse che io non fossi uomo coraggioso. Sai che molta forza ha una grossa nave. Feci un nuovo carico di vini, lardo, fave, acque distillate di Capua, e schiavi. In questa circostanza Fortunata mi fece un bel servizio, perchè tutte le sue ricchezze, e tutti gli abiti vendette, e mi pose in mano cento monete d’oro le quali furono il lievito del mio peculio. Quando il ciel vuole assisterci, tutto va bene: in una sola velata mi lucrai dugento cinquanta mila scudi. Svincolai tosto tutti i fondi, che furon del mio padrone: fabbricai una casa, comperai bestiame da mercato ed ogni cosa che io intraprendeva crescevami in mano come un favo di miele.
Poichè mi trovai possedere più che non possedesse tutto il mio paese, mi levai dal banco, lasciai il commercio, e mi posi a far prestanza ai novelli liberti. E come io m’era annoiato di attendere a questo negozio, consigliommi a continuarlo un astrologo, che capitò accidentalmente nella nostra colonia, il qual era mezzo greco, e chiamavasi Serapione, ed era consultatore degli Iddii. Costui dissemi anche più cose che io avea dimenticate, e tutto quello che mi era avvenuto da capo ai piedi mi indovinò. Ei conosceva sì ben le mie viscere, che mi avrebbe detto cosa avessi io mangiato il dì innanzi, e avresti detto che egli avesse abitato sempre con me.
Dimmi, Abinna, io credo che tu fossi presente quando ei mi disse: tu alla tua bella hai donato tutto il tuo: tu poco sei fortunato negli amici: nessuno corrisponde alle tue grazie: tu possiedi una gran masseria: e tu nodrisci una vipera nel tuo seno. E perchè non vi dirò io, ch’ei pur mi disse che ancor mi restavan di vita trent’anni, quattro mesi e due giorni? e di più che avrei presto fatta una eredità.
Così mi dicea l’astrologo. Ma se mi riesce di unire insieme tutti i miei fondi di Puglia, io sarò diventato