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92 | capitolo decimosettimo |
sulla quale Fortunata curvandosi, cominciò a sospirare ed a piangere.
Trimalcione all’incontro dicea: ecchè dunque? questa carogna ha già dimenticato, che io la levai dalla madia e la misi all’onor del mondo? Ella gonfiasi come la rana, e si sputa addosso: rompimento di testa, e non donna è costei. Ben si vede che chi nasce nell’orto non sogna palazzi. Possa io morire, se non saprò domare questa Cassandra instivalata. Ed io, quand’era ancora un pitocco, ho potuto prendermi dugento mila scudi di dote, e tu sai che non è menzogna. Ancora ieri il profumiere Agatone mi si avvicinò per sedurmi, e mi disse, io ti consiglio a non soffrire che la tua razza si spenga. Mai io mi do veramente la zappa sui piedi trattando costei con sì buona fede, e curandomi di non parere uno sventato. Meglio farò, se ti ridurrò a venirmi cercar carponi; e perchè tu intenda fin d’ora cosa ti sei guadagnata, Abinna, io non voglio che tu ponga la di lei statua sul mio sepolcro, onde io non abbia a litigare anche morto. Di più, affinchè comprenda che io le potrò far danno, proibisco che mi baci quando sarò estinto.
Dopo questo fulmine, Abinna cominciò a pregarlo, chè cessasse della sua collera, e disse: NESSUN DI NOI È INFALLIBILE: UOMINI SIAMO E NON DEI. Così Scintilla, lagrimando, parlò, e chiamandolo Caio il supplicò pel suo genio di acquetarsi.
Più non potè Trimalcione trattenere le lagrime, e disse: io ti prego, o Abinna, e il ciel ti conservi le tue ricchezze, se io qualche male ho commesso, sputami in faccia. Io baciai quel bonissimo ragazzo non per la sua figura, ma perchè gli è buono: ei recita dieci parti, legge un libro in un colpo d’occhio; cogli avanzi della sua giornata si è formato un capitaletto, e si è comperato del suo un banco pel pane, e due boccali. Non si merita egli di esser presentato nelle comitive? Ma