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90 | capitolo decimosettimo |
Che facevam noi, sgraziatissimi uomini, avviluppati in un labirinto di nuova specie, e che avevamo già incominciato a sapere che bisognava lavarci? Pregammo dunque di esser condotti al bagno, nel quale entrammo dopo esserci levati gli abiti, che Gitone ebbe cura di stendere sull’ingresso, onde farli seccare. Stretto era il bagno, e somigliante alla cisterna rinfrescativa, in cui Trimalcione trovavasi tutto ignudo; e noi non potemmo schivar di vederlo in quella vergognosa situazione. Ei diceva non esservi cosa migliore quanto il bagnarsi fuor della gente; e che altre volte quel luogo era stato un prestino. Di poi, trovandosi affaticato, si assise, e invitato dal rimbombo del sito, alzò la voce ubbriaca sino alla volta, e si mise a guastare gli inni di Menecrate, come giudicaron coloro che ne intendeano la lingua.
Intanto gli altri commensali correvano intorno al bacino tenendosi per mano, e l’un l’altro solleticandosi alzavano un rumor grandissimo: altri colle mani legate sforzavansi a levare dal pavimento gli anelli: altri stando ginocchioni piegavan la testa all’indietro toccandosi la punta de’ piedi.
Mentre costoro così divertivansi, noi scendemmo nello stanzino, ove riscaldavasi un bagno per Trimalcione. Di poi, essendoci oramai svanita l’ubbriachezza, arrivammo in un altro salotto, dove Fortunata avea messe in assetto le sue ricchezze, in guisa che al di sopra osservai lucerne, e statuette di pescatori in bronzo, e lastre di argento massiccio; all’intorno vasi di terra indorati, e dirimpetto una fontana di vino.
Allora Trimalcione disse: amici, quest’oggi un mio schiavo si fa rader la barba per la prima volta; egli è uomo tranquillo, dabbene e a me caro. Facciam dunque gozzoviglia, e ceniamo finchè il dì viene.
In questa si udì un gallo cantare: per la cui voce Trimalcione confuso ordinò che si spandesse vino sotto