Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/141


la conversazione s’ingrossa 85

un’oca ripiena contornata di pesci e d’ogni sorta d’uccelli; di che Trimalcione avvedutosi disse: tutto questo piatto sorte da un corpo solo.

Io, come uomo intelligentissimo, m’avvidi tosto di quel che era, e volgendomi ad Agamennone dissi: io resto maravigliato, come tutti codesti ingredienti sieno accomodati, in guisa che paion fatti di creta. E so di aver veduto a Roma nel tempo de’ Saturnali di simili cene finte.

Ancor non finivano queste mie parole, che Trimalcione disse: così possa io crescer di ricchezza se non di corpo, come tutti questi intingoli il mio cuoco ha fatti col maiale. Non può darsi più prezioso uomo di lui. Se il volete, egli di un conno vi farà un pesce, col lardo un piccione, col presciutto una tortora, delle budella di porco una gallina; perciò gli è stato a genio mio posto un bellissimo nome, perchè egli chiamasi Dedalo; e siccome ha egli gran fama, uno gli portò da Roma de’ coltelli di Baviera.82 E sì dicendo comandò che gli si recassero, li osservò con ammirazione, e ci permise di provarne la punta sui nostri labbri.

Al tempo stesso entrarono due schiavi in aria di litigar tra di loro un cingolo, di quelli cui si attaccano i vasi, che costoro si tenean sulle spalle. Trimalcione avendo pronunciata la sua sentenza, nè l’un nè l’altro volle accettarla, ma ciascheduno ruppe co’ bastoni il fiasco dell’altro.

Sopraffatti noi dall’insolenza di quegli ubbriachi li tenevam d’occhio, e vidimo che da quei rotti vasi eran cadute ostriche e pettini, le quali un donzello raccolse, e in una marmitta ci recò intorno.

Il cuciniere ingegnoso secondò queste splendidezze, perchè portò lumache sopra una graticola d’argento, e cantò con voce tremula e spaventosa. Io ho rossore a narrare ciò che seguì. Imperocchè i chiomati donzelli, (cosa non più udita) portando unguenti in un catin