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giuochi, fanfaluche, e cena prolungata 77

Essendo io ancor giovinetto (giacchè fin da ragazzo io menai vita deliziosa) un mio dolce amico morì. Egli era un gioiello, per bacco, garbatissimo, e di mille belle qualità. Intanto che la sua povera madre il piangea, e che molti di noi la stavam confortando, improvvisamente le streghe lo rapiron più presto che il cane non prosiegue la lepre. Avevamo fra noi un uomo di Cappadocia, lungo, assai temerario, e che avrebbesi preso a lottar con Giove fulminatore. Costui impugnato arditamente l’acciaro corse fuor dalla camera, avvolta sagacemente la man sinistra nel suo mantello, e ferì nel mezzo una strega, propriamente in questa parte, che il cielo mi tenga illesa. Udimmo un gemito, ma per dir vero nessuna vedemmo di costoro; rientrato poi il nostro campione buttossi sul letto, ed avea livido tutto il corpo, come dopo una flagellazione, e ciò senza dubbio perchè una mano infernale lo aveva toccato.

Noi, chiusa la porta, tornammo al piagnisteo, ma nell’atto che la madre si fe’ ad abbracciare il corpo del figliuol suo, tocca e vede un mucchio di lordure, in cui non vi era nè il cuor, nè le viscere, nè altro: perchè le streghe aveano di già involato il fanciullo, e messi in suo luogo que’ vuoti cenci. Ditemi in grazia: ei bisogna proprio crederlo: le donne ne sanno più di noi, le son maliarde, e mettono tutto co’ piedi insù. Del resto quel lungo valentuomo, dopo un tal fatto, non riacquistò mai più il suo colore, anzi di lì a pochi giorni morì frenetico.

Noi femmo le maraviglie, e d’accordo credemmo agli uditi prestigj, anzi baciata la mensa pregammo le streghe di rimanersene a casa loro, quando noi sortirem dal convito.

E a dir vero e’ pareami di già che molte lucerne splendessero, e che tutto il triclinio avesse cambiata figura, quando Trimalcione, rivoltosi a Plocrimo, gli disse: ebbene, Plocrimo, tu non dici nulla? tu non ci