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74 | capitolo quindicesimo |
m’alzai spaventato, temendo che qualche saltatore non scendesse dalla parte del tetto, e gli altri convitati non men sorpresi alzarono i volti, curiosi della novità che venir potesse dal cielo. Ed ecco che apertasi la soffitta si vide un gran cerchio che quasi da larga cupola distaccandosi venne giù, e gli pendeano d’intorno varie corone d’oro, e scatolette d’alabastro piene di unguenti odorosi.
Mentre ci era ordinato di prenderci questi presenti, io volsi l’occhio alla mensa, sulla quale vidi già riposto un servizio di alcune focacce, e in mezzo un Priapo fatto di pasta, che nel largo suo grembo tenea, secondo il solito, uve e poma d’ogni qualità.
Noi con avidità allungammo le mani a quei frutti, ed improvvisamente un nuovo ordine di giuochi accrebbe la nostra allegria, perchè le focacce ed i pomi appena colla minima pressione toccati diffusero intorno tale odor di zafferano,75 sino a riescirci molesto.
Persuasi adunque, che una vivanda sì religiosamente profumata fosse cosa sacra, noi ci rizzammo in piedi, e augurammo felicità ad Augusto padre della patria. Alcuni però avendo anche dopo questa venerazione rapiti quei frutti, noi pur ce ne empiemmo i mantili, ed io soprattutto, cui parea non aver mai abbastanza regalato il mio Gitone.
Tra questi fatti entrarono tre donzelli involti in candide tonicelle, due de’ quali misero in tavola i Dei lari inghirlandati,76 ed uno recando intorno una tazza di vino gridava: CI SIENO PROPIZI I DEI. Dicea parimenti, che l’un di essi chiamavasi Cerdone, l’altro Felicione, ed il terzo Lucrone. E come fu portato intorno il ritratto di Trimalcione, che tutti baciarono, noi non potemmo sebben con rossore scansarcene.
Poichè dunque ebbersi tutti augurato lieto animo, e buona salute, Trimalcione voltosi a Nicerota gli disse: tu solevi essere amabile nelle comitive; or non so per-