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60 | capitolo quattordicesimo |
Mi si dice che termini con Terracina e con Taranto. Ora io penso di unir la Sicilia a quelle mie zolle, perchè volendo io andare in Africa, non abbia a navigare per altri confini, che per i miei.
Ma tu, Agamennone, contami: di qual controversia hai tu oggi declamato? Perchè, sebbene io non tratti cause, tuttavia ho fatto i miei studj partitamente; e acciò tu non creda, che io me ne sia annoiato, ho tre Biblioteche, una greca, e le altre latine. Dimmi dunque, se ti piace, l’argomento della tua declamazione.
Agamennone rispose: un povero ed un ricco erano in lite. E Trimalcion disse: cosa è un povero? Grazioso! rispose Agamennone, e gli recitò non so qual controversia. Trimalcione riprese tosto: se questo è un fatto, non è più una controversia; se non è un fatto, ei non è nulla.
Noi lodammo ampiamente questi e simili discorsi. Ed egli proseguì: ti prego, mio carissimo Agamennone, a dirmi se ti ricordi delle dodici fatiche d’Ercole, o della favola di Ulisse. In che maniera il Ciclope con un bastoncello stroppiògli il pollice? Io da fanciullo accostumai di leggere queste cose in Omero.55 Oltre a che io stesso cogli occhi miei ho veduto la Sibilla Cumana sospesa in un pignatto; e quando i fanciulli la interrogavano, Sibilla che vuoi? ella rispondea: morire.56
Ancor non avea svaporate queste fandonie, quando un altro desco carico di quel gran maiale coprì la tavola. Noi ci diemmo ad ammirare tanta prestezza, ed a giurare che neppure un pollastro potevasi cuocere sì rapidamente, e ciò tanto più quanto molto maggior ci parea quel porco di quel che ci era prima sembrato il cignale. Indi Trimalcione guardandolo attentamente, ecchè? disse, questo porco non è stato sventrato? No, perdio, ch’ei non l’è. Chiama, chiama subito il cuoco.
Il cuoco comparve malinconico, e avendo detto ch’egli erasi dimenticato di sventrarlo; che dimenticato? gridò