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sopprimere un semplice equivoco, e tanta sfrontatezza nel permettere, dirò così, uno schiaffo sul viso? Il principe de’ critici, il Bayle, che nulla crede senza il consenso della ragione (e un poco di scetticismo non fu mai danno), il Bayle colpito da queste contraddizioni niega tutto, anche la correzione attribuita a Cornuto del surreferito emistichio, auriculas etc. Io non ardisco averla per falsa, poichè la trovo conforme ai tempi e al discreto carattere di quel saggio. Ma giovandomi dello stesso argomento d’induzione, da questa medesima correzione deduco esser favola che i presenti quattro versi derisi siano tutta farina di Nerone. Altrimenti Cornuto è un censore, non saggio, ma inconseguente. Parmi più ragionevole il giudicarli una studiata imitazione dello stile ampolloso di quel coronato e stolido poetastro; il che non è poco argomento di libertà e di coraggio nel giovinetto nostro Satirico.
La favola, che tutti sanno, d’Agave e di Penteo, non ha bisogno di nota per l’intelligenza di questo passo. Ma il verso censurato da Persio: Torva mimalloneis implerunt cornua bombis, non è egli fratel carnale del Catulliano: Multi raucisonis infiabant cornua bombis? Io getto questo pomo di discordia tra i sottili pedanti, e mi tiro in disparte a godere della baruffa.

angues. v. 113. — L’antica superstizione aveva consecrato i serpenti come immagine del genio tutelare, e simbolo dell’eternità. Solevano quindi dipingerli al muro ne’ luoghi pubblici che volevansi mondi d’ogni bruttura, onde gli adulti per riverenza, i fanciulli per paura non vi si accostassero a far puzza.

discedo secuit. v. 114. — Persio dura poco nel suo proposito. Ha promesso di approvar tutto, e già si congeda. Poi strascinato dalla sua irresistibile inclinazione alla satira torna indietro, e prende improvvisamente a giustificarsi coll’esempio di Lucilio e d’Orazio. Quest’ultimo si era giovato dello stesso esempio prima di Persio. Venne Giovenale, e fece altrettanto; e cosi di mano in mano i Satirici posteriori. Questa guisa di scolpare la satira non mi garba. La sua giustificazione sta ne’ diritti sacri ed eterni della virtù contra il vizio. È statuito dalla natura, che la guerra tra questi due elementi morali debba durare perpetua. E allora la satira che percuote il vizio solenne, che perseguita il delitto sfuggito alla punizion della legge, allora, io dico, la satira è la vendetta della virtù, il sussidio della giustizia: e il marchio d’infamia, che il coraggioso scrittore