Più non ritorna a galla. Onnipossente
Giove, i tiranni non voler punire 54D’altra guisa tu mai, quando fervente
Di venen, li talenta un rio desire.
Li strazj la virtù vista, e lasciata. 57Più lugubre s’udía forse il muggire
Del tauro agrigentin? brando d’aurata
Trave sospeso forse una cervice 60Atterrì di diadema incoronata,
Più che interno rimorso un infelice
Che a sè dica: me lasso! io son perduto! 63E tremi in cor, sì ch’anco all’amatrice
Fedel consorte il perchè sia taciuto?
Sovviemmi, che d’oliva io gli occhi ugnea 66Fanciul, se l’alte di Caton feruto
Sentenze recitar non mi piacea;
Cui lodar molto il pedagogo iroso, 69E udir sudante il genitor dovea
Con gl’invitati. E a dritto: chè pensoso
Non d’altro io m’era allor, chè del sapere 72Quanto guadagna il sei, quanto il dannoso
Asso perde, e mandar netta a cadere
Nel brev’orcio la noce, e il più scaltrito 75Nel rotar del paléo farmi tenere.
Ma tu, che scerni il vizio, ed erudito
Se’ di quanto il Pecile, di bracati 78Medi a fresco dipinto, ha profferito;
Ove insonni allo studio, e il crin tosati
I giovinetti vegliano, di gialle 81Grandi polente, e di baccel cibati;