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Persio assorbito nella ricerca del sommo bene morale, e fortemente penetrato de’ sentimenti d’una libertà più che romana, si fa scrupolo di alzar un dito senza il consenso della ragione. Ni tibi concessit ratio, digitum exere; peccas. Mai un sacrificio alle grazie, mai la bocca composta al riso. Egli il tenta bene qualche volta, e pare ancor persuaso di riuscirvi, rendendone certi egli stesso di essere un buffone che non può contenersi dal ridere: sum petulanti splene cachinno. Ma nessuno gli presta fede, nè il suo temperamento lo consentiva. Accade a Persio ciò che a Demostene, del quale fu osservato che mai tanto si allontanò dal suo ingegno, quanto allorchè si adoprò di comparire giocoso. Le facezie di Persio, qualunque volta ei le tenta, riescono goffe ed insipide: più cerca lo scherzo, più lo scherzo gli sfugge e svaporasi: è un orso col cappello in testa, che balla a suono di piffero.

Questo difetto, se pur tale vogliam chiamarlo, viene compensato da Persio co’ nervi dello stile, colla vibrazion delle idee, col peso de’ sentimenti, prerogativa tanto apprezzata dal critico d’Alicarnasso, che chiamò cadaveriche le orazioni d’Isocrate, perchè tutte eleganza ma prive affatto di gagliardìa.

Orazio rade volte adempisce nelle sue satire quell’ottimo precetto suo: denique sit, quod vis, simplex dumtaxat et unum. Perciocchè qual materia ei prenda a trattare, poco dopo te l’abbandona, e la più parte delle sue satire non è che una bella ed elegante congerie di nudi e sconnessi insegnamenti morali alla maniera di Teognide e di Focillide. Persio assai altrimenti. Tu nol vedi mai dimenticarsi della sua tesi, nè mai digredirne che per rinforzarla. Conserva costantemente il metodo filosofico, e procede di prova in prova, per modo che le sue satire (salvo la prima d’argomento tutto rettorico) sono, ciascuna nel loro genere, un breve trattato di ragionata e pretta morale, scevra di quei miscuglj eterogenei, che viziano la semplicità del soggetto. Non mi è nascoso, che molti anzi che biasimare trovano bello in Orazio questo stesso disordine filosofico, bello l’abbandono del suo primo proposito. Comunque sia, il simplex dumtaxat et unum nelle sue satire non si trova; e convien confessarlo, le leggi tornano inefficaci quando il primo a violarle è lo stesso legislatore. Lungi dal venire nella dura sentenza del Casaubono e dello Scaligero, che più tocchi dalla forza che dalla grazia dell’espressione, più ammiratori d’una certa metodica gravità vestita di splendido