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NOTE


Alla Satira IV.


Assunta la persona di Socrate rimproverante Alcibiade, inveisce Persio contra un giovine presuntuoso, che superbo de’ suoi illustri natali, ma privo d’esperienza e di senno accatta il favore del popolo, e intraprende il maneggio della Repubblica. In questo temerario ambizioso ravvisano Nerone gl’interpreti pressochè tutti, e la satira è veramente sparsa di qualche tratto che pur potrebbe persuaderne l’applicazione. Tale, per dirne alcuno, sarebbe il Dinomaches ego sum, ove il pensiero corre subito ad Agrippina; e il majestate manus, cenno d’imperio conveniente al signore del mondo più assai che ad un privato Ateniese; e il magni pupille Pericli, ove può nascer sospetto, che il poeta sotto il nome di Pericle voglia disegnarne Seneca, tutor di Nerone. Con tutto ciò queste pretese allusioni sono sì tenui e fuggitive, ch’egli è impossibile il conciliarne la temperanza co’ vizj di Nerone, e coll’austera indole liberissima del nostro Satirico, insofferente d’ogni morale depravazione, e tale da non pateggiare co’ scellerati. Il Casaubono, percosso ancor esso dalla discreta mordacità di questa satira, e ostinato pure nel credere, che Nerone vi sia preso di mira, si appiglia al partito di opinare che Persio la scrivesse ne’ primi anni della tirannide di quel mostro, i quali pur ebbero una certa apparenza di mansuetudine e di virtù; ma non tale da far abbaglio a chi sa vedere oltre la scorza. La virtù vera porta in viso un certo carattere, che l’ipocrita, per destro ch’ei sia, non giunge mai a ben imitare. E in tutti i tempi e per tutto v’ha una classe di non servi intelletti, che separata dal volgo, ed intatta dagli stimoli dell’ambizione osserva e giudica e dirige senza strepito il corso dell’opinione: la quale erigendo nel segreto più intimo de’ pensieri il suo invisibile tribunale condanna all’infamia il delitto sul trono, e incorona la virtù sul patibolo; comanda a tutti, non obbedisce a veruno. Le ipocrite virtù di Nerone, le quali ne’ primordj della