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xcii prefazione

ai ribaldi che la stessa sua collera: e se qualche volta morde i ridicoli, lo fa perchè li vede sulla via di doventare scelerati. «Questa tua effeminatezza e indecenza di vestire, dice a Cretico, ti condurrà adagio adagio a cose più sozze: nessuno divenne turpissimo tutto ad un tratto».1 Non è poi giusto di mettere il Poeta in sospetto di veridico, e negargli ogni autorità e fede storica, solamente perchè è caduto in qualche esagerazione di forma e di colorito. Prescindendo anche dalle abitudini della scuola, ingrandire le cose è naturale alla poesia, e più alla satira. La quale — nota il signor Widall — «ha le sue leggi di prospettiva, e però i suoi privilegi, e le sue necessità nello stesso modo che il teatro. Come l’antica tragedia, essa pure prende talvolta la maschera e il coturno, a fin di farsi meglio sentire e vedere. Per colpir più giusto, mira di quando in quando più su: e così dà meglio nel segno. Nè questo può scriverlesi a delitto; purchè i suoi colpi non sieno diretti contro dei fantasmi. Or chi oserebbe dire che Giovenale ha detto male del suo secolo per il solo gusto di dir male? Abbassate un poco col pensiero il tono della sua voce; smorzate in qualche suo quadro alcuni colori troppo carichi; e per il fondo delle cose sarete sempre nel vero. Giovenale non è un satirico di fantasìa, nè uno scrittore atrabiliare, che vede la

  1. Sat. II, 82.