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prefazione lxxix

sibile che non perdessero ogni amabilità di carattere, ogni delicatezza di spirito, ogni senso di bontà, e non diventassero crudeli, donne che pigliavano diletto a veder colare il sangue nell’arena dell’anfiteatro; e pascevano gli occhi nell’agonìa dei gladiatori combattenti colle belve feroci?

Non paja dunque troppo lontano dal vero l’orribile quadro che il Satirico nostro ci fa delle donne romane del suo tempo. Non ci narra la storia che mentre donne di famiglie illustri erano così svergognate da farsi scrivere sui registri delle cortigiane, per poter darsi impunemente alle dissolutezze;1 non si trovavano più donne libere, che volessero consacrarsi al culto di Vesta, perchè quel ministero esigeva una vita illibata? Non sono personaggi storici Agrippina, Messalina, Eppia, Cesonia, Locusta? Che cosa hanno di più rivoltante i misteri della dea Bona, 2 che i saturnali della dea Ragione, celebrati non ha guari in un paese nostro vicino? Gli orrori e le oscenità della Torre di Nesle e di Margherita di Borgogna, regina di Francia, non vincono forse il cinismo di Saufeja,3 e la fredda ferocia di Ponzia?4 Gli effetti sono sempre proporzionati alle loro cause: e le grandi cagioni del totale

  1. Svet., Vita Tiberii.
  2. Sat. VI, 315 segg.
  3. Sat. VI, 320.
  4. Ivi, 638.