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prefazione | lxxiii |
ben può dirsi che pagasse giustamente il fio delle sue sfacciate cortigianerìe.
Quali sono le Satire più forti, e dove si mostra maggiore il vitupero di quel tempo? Certamente la seconda, la sesta e la nona, nelle quali il Poeta ferisce direttamente il mal costume. La seconda è impetuosissima, e si vuole la prima scaturita dalla vena Giovenalesca. In essa sono assaliti i due opposti vizj della ipocrisìa e della spudoratezza; e la mira è palesemente rivolta al regno di Domiziano. Costui era stato meno un feroce tiranno che un solenne ipocrita. Mentre da un lato era rotto più che altri mai a vizio di lussuria; e teneva una pratica scandalosa con Giulia sua nipote che, rapita al marito Flavio Sabino e divenuta incinta, era da lui costretta ad abortire, del che ne mori;1 dall’altro avea la sfacciataggine di far le leggi più severe e minaccianti pene gravissime contro la scostumatezza, e particolarmente l’adulterio. Quando i tempi ruinano a servitù, e gli uomini insieme col senso morale hanno perduto la guida della coscienza, la più parte di essi va dietro alle pedate del principe, e la corte diventa regola di vita, massime per quelli che le stanno più presso. Quindi non dee parere strano, se regnando quel mostro, in cui il dire e il fare erano sempre in