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prefazione lxxi

indulgenza alle scapataggini della gioventù, purchè sieno di corta durata, e cessino col cadere della prima barba».1 Ma io voglio concedere che tale amicizia durasse concorde fino all’ultimo: che logica di nuovo genere è questa d’imputare all’uno i difetti dell’altro? È egli necessario che due amici pensino e operino sempre nel medesimo modo? Non poteva il Nostro amare e stimare nello Spagnolo l’argutezza e amenità dell’ingegno senza approvarne la libertina protervia, la salace dicacità, e la pensata piacenterìa? Che cosa era finalmente Marziale che dovesse fuggirsi come un appestato? Se ne togli un poco di vagabondo e di lascivo, con quella smania di abbajare alle gambe di tutti, fuorchè di quelli che vedea ben vestiti e ben calzati, ai quali anzi facea le feste scodinzolando; era forse la miglior pasta d’uomo. Vedete dunque come cadono di per sè le colonne, sulle quali il La Harpe ha fabbricato le sue accuse, e come a ragione un suo connazionale lo rimproveri di lasciarsi troppo trascinare dalla passione, e di prendere il più delle volte nei suoi giudizj di critica le sue ispirazioni da quella.2

Ha Giovenale denigrato il suo secolo, attribuendogli vizj e colpe che non avea? Egli medesimo nella satira sesta, pensando agli atroci e

  1. Sat. VIII, 164 segg.
  2. Achaintre.