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lxx prefazione

Spagnolo avesse qualche dubbio d’essere mal corrisposto. «O perfida lingua, egli scrive, la quale tenti di farmi tipizzare col mio Giovenale, che cosa oserai tu di dire?»1 Questo discorso, o sia rivolto alla lingua stessa del poeta che parla, o a quella di un mettimale qualunque, viene a dire in sostanza che i due poeti non erano carne e unghia, e qualche volta aveano dei dispareri. Nell’altro, Giovenale è detto «facondo»:2 e questa parola che esprime molto meglio le qualità di un oratore che di un poeta, farebbe credere che la loro amicizia dovesse riferirsi specialmente agli anni della gioventù di Giovenale; quando cioè egli frequentava le scuole dei Retori, e si esercitava per passatempo nella eloquenza; e prima che acquistasse fama di poeta: il che avvenne assai tardi. E ammesso questo, scemerebbe d’assai il biasimo, che a giudizio del La Harpe il cattivo nome di Marziale riflette sul Nostro: poichè sarebbe un eccessivo rigore fargli carico, se negli anni delle bollenti passioni anche lui fece delle scappate, e fu una mosca senza capo: purchè all’età matura, e quando cominciò a menar la sferza sui vizj degli altri, avesse messo giudizio, e ritratto il piede dalle giovanili stravaganze. E così io credo: e forse per questo egli medesimo nella satira ottava vuole che «sia usata

  1. Lib. VII, 24.
  2. Ivi 91.