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prefazione lxix

che vuolsi tanto meno credergli e scusarlo in quanto sappiamo, che era tinto della medesima pece degli altri. Rispetto alla seconda, dicono che il suo andamento è monotono, declamatorio, troppo burbero e cagnesco; che è senza pudore, e sembra pigliarsi diletto a intingere la penna in quel letame di oscenità e di delitti infami, dimostrando in ciò un istinto selvaggio e crudele: che per conseguenza la sua lettura è più dannosa che utile alla morale.

Fu Giovenale infetto degli stessi vizj che satireggiava negli altri? Certamente avrà avuto anche lui le sue taccherelle; nè io pretendo di farne un Catone. Ma altro è dire che avrà egli pure pagato alla natura il suo piccolo tributo di debolezze, altro dire che fu un poco di buono. E come potete voi asserir questo? Perchè, mi si risponde, fu amico di Marziale, ingegno argutissimo quanto volete, ma pessimo soggetto. Io già fin di principio toccai di questa pretesa amicizia, mostrando che il silenzio col quale il Nostro rispose ai teneri versi indirizzatigli dall’autore degli Epigrammi, è prova sufficiente che non lo ebbe molto caro. Qui aggiungerò, a conferma delle cose ivi dette, qualche osservazione sopra due dei tre epigrammi citati dagli avversarj a far fede dell’intimità fra i due poeti. Il primo, chi ben lo consideri, anzi che accertare questa intimità, dà piuttosto motivo a supporre che i due amici non andassero pienamente d’accordo; e che lo