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lxvi | prefazione |
tanto che nell’edizione di Giovenale ch’egli curò a Lipsia nel 1862, confessa di non avere avuto altro in mente che di far meglio conoscere l’egregio lavoro del suo predecessore; e, tranne l’ortografia e la punteggiatura, non essersi da quello allontanato che in pochissime cose e di quasi nessuna importanza.1
Ebbi già occasione di ricordare sulla testimonianza di due delle antiche notizie, che le Satire di Giovenale incontrarono molto fin da quando erano udite dalla sua viva voce: e quand’anco mancasse siffatta testimonianza, dovrebbe bastare a darcene sicurezza un passo di Quintiliano contemporaneo del Nostro; il quale, parlando dei poeti satirici, afferma che anche a’ suoi giorni «ve n’erano dei chiari, e che avrebbero un nome nel tempo a venire»:2 le quali parole, sebbene non sia da lui nominato alcuno, non possono riferirsi che a Giovenale e Persio. Per ciò che riguarda gli anni successivi, Ammiano Marcellino, scrittore del quarto secolo, narra che a suo tempo nessun altro libro era letto con tanta passione:3 e come nel medio evo fosse tenuto in gran conto, lo mostrano le lodi che danno al Poeta, per tacere dei grammatici, il venerabile Beda, Liutprando, Adamo da Brema, e Giovanni di Sali-
- ↑ D. I. Iuvenalis Satirae, Praef. Lipsiae, 1862, pag. 21.
- ↑ «Sunt clari hodieque et qui olim nominabuntur».
- ↑ Amm. Marcellini Hist., lib. XXVIII, 4.