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lxiv prefazione

mutato e trasformato, ma quasi dilaniato e fatto a pezzi come il corpo di Absirto; talchè parendogli un tale scempio superasse la temerità di ogni raffazzonatore, si persuase che dovesse avere per fondamento qualche codice antico. Essendo poi dopo del tempo ritornato sopra quel vecchio libro, e messi bravamente da banda tutti li scrupoli, avendo rivolto l’acume della mente soltanto all’arte; il modo come erano in esso ordinati e ridotti i versi gli parve il migliore, e non potè frenarsi dal desiderare che Giovenale avesse lasciati i suoi scritti piuttosto in quella maniera».1

L’esistenza di questo vecchio esemplare scema in parte, ma non toglie tutta la responsabilità del nuovo editore di Giovenale. O egli infatti nella sua edizione ha seguito strettamente l’esempio di quel libro (il che non pare, poichè se ciò fosse, avrebbe dovuto darne un cenno nel frontespizio), o si è da quello in qualche cosa allontanato: e nel primo caso sarebbe corso un po’ troppo a riconoscere autorità ad un libro, che non avendo in suo favore altro che la muffa ond’era coperto e le ingiurie delle tignole, arruffava, mutilava e smezzava un testo oggimai consacrato dal giudizio di sedici secoli; nel secondo si sarebbe oltracciò reso complice del fatto. E perchè non poteva quel rimescolamento esser l’opera

  1. V. la lettera a Ottone Woldemar, che sta in principio della sua edizione di Giovenale. Lipsia, 1859.