nostro Poeta: il quale e per essere stato uno dei più letti e studiati in quel tempo, e per quel suo stile troppo condensato e alcuna volta scabroso e pieno di oscurità; e per toccare spesso di certe cosette un po’ liberoccie, dovea offrirne più facili e frequenti le occasioni. Ma il professor Ribbeck, secondo il mio corto vedere, procede un po’ troppo alla libera e con eccessiva fidanza di sè in un lavoro di critica come questo, nel quale ogni passo è audace e pieno di pericoli. Chi piglia a correggere gli antichi autori misura l’ingegno di loro col proprio compasso; e sostituendo sè all’autorità di fatto, ciò soltanto che a lui piace, giudica che costoro abbiano scritto: giudizio che per la diversità dei gusti può essere spesso fallace. È certo il Ribbeck di aver colto sempre nel segno? Potrebbe egli in buona fede assicurarci che le correzioni, li scarti e riordinamenti dei versi che fa, avvantaggiano in tutto la reintegrazione del testo originale; o non più tosto lo cambiano maggiormente? Non si tratta qui di sapere se il Poeta ci guadagni o ci perda da un tale acconcime; ma sì veramente se il lavoro del celebre critico conferisca a rendere alla Satira giovenalesca il primo, genuino, paterno aspetto. E di ciò si deve ragionevolmente dubitare: poichè son tanti e così larghi i tagli ch’esso vi fa; son così numerose e lontane le trasposizioni di versi e d’interi brani, onde rimescola il testo, che non è quasi verosimile