Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
prefazione | lxi |
e Prisciano,1 scrittori del quinto secolo, la rammentino con lode, attribuendola a Giovenale; tuttavia la sua inferiorità di fronte alle altre, sia per la sostanza, sia per la forma, è così manifesta, che non si può credere fattura della medesima mano; quando non si volesse supporre, come fa alcuno dei più discreti,2 essere stata un primo tentativo fatto da giovane, e rimasto poi sempre così imperfetto tra li scartafacci del Poeta. E tal supposto non è affatto irragionevole, se si pensa, che mentre essa da un lato, nella sua intonazione e andatura generale, ricorda la maniera del Nostro; dall’altro vi è un verso, nel quale si dice, che l’autore a certe date condizioni avrebbe voluto entrare coscritto nella milizia: la qual cosa accenna gioventù in chi la scrisse.
Ma che dovrà dirsi dei tagli, dei rimescolamenti fatti dal signor Ribbeck anche alle dieci Satire da lui approvate? È stato detto e accertato, che nessun altro testo latino, nell’attraversare la grossa età del medio evo, subì tanti guasti e alterazioni quanti Giovenale. E fino ad un certo punto si capisce; perchè se tanti altri libri, passando per le mani di quei buoni fraticelli o di qualche copista che la pretendesse, furono chiosati, alterati e interpolati di aggiunte; è naturale che ciò accadesse con più ragione al testo del