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prefazione lix

gno generoso era in parte sbollito; non deve far maraviglia se vi si trova più moderazione, più calma nei pensieri e nello stile; se vi sono in buon dato delle reminiscenze di opere morali già lette, e soprattutto di Platone, di Cicerone e di Seneca; e ritornano più spesso a farsi sentire gli effetti dell’educazione ammanierata ricevuta nelle scuole dei retori, e degli esercizj declamatorj in cui Giovenale avea passato tutta la sua gioventù; se l’acerbità del riprendere è non di rado temperata dall’amorevolezza del lodare; se non più contento il Poeta di sonare a vitupero e assalire di fronte il vizio, si sforza anche di predicare e rendere amabile la virtù; se in somma al cipiglio del severo censore unisce la serenità del filosofo, che detta precetti di morale; e di quando in quando mostra i segni di quella querula loquacità, che Orazio dice propria della vecchiaja. Noi crediamo anzi che le ultime Satire sieno, sotto un certo rispetto, il compimento delle prime, e che dividere le une dalle altre sia quasi come mutilare un edifizio, che l’architetto disegnò e condusse con unità di concetto. Il poeta satirico è un maestro di costumi. Perchè l’opera sua possa dirsi finita, non basta che ritragga li erranti dalla via falsa; deve di più mostrare ad essi la vera: non basta che spogli i viziosi dell’uomo vecchio, ma deve altresì rivestirli del nuovo. Siamo quindi persuasi che Giovenale non meriterebbe pienamente l’onorato titolo di Etico