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prefazione liii

sanno andare a letto prima di avere scosso la polvere a qualcheduno: coi quali non basta tirar di lungo e badare al fatto suo; chè in tutti i modi ti cercano briga: e dopo averti ingiuriato, rincalciato, e buttato giù qualche dente a furia di pugni, vanno e ti danno una comparsa.1 Ci apre la sala del Consiglio di Stato, dove Domiziano convoca in gran fretta i Senatori — indovinate a far che? — per consultarli sul modo di cucinare un gran pesce: e ci dipinge la vigliaccherìa di cotestoro, che anche da questa corbellatura traggono argomento per adulare il tiranno.2 Sediamo col Poeta alla tavola del ricco; e là vediamo in qual conto fosser tenuti i poveri clienti: i quali se una volta per miracolo sono da lui invitati a pranzo in ricompensa di tanti servigi, vengon condannati a succhiarsi tante mortificazioni e tanti sgarbi dal padrone e dalla servitù, che non un pranzo, ma un’ingiuria potrebbe dirsi. Per il padrone, pane bianchissimo e fresco; vini scelti di più qualità; tazze d’oro incrostate di pietre preziose; frutta da riavere coll’odore un morto, e i bocconi più ghiotti che si trovino in mercato. Per i clienti, pan duro e muffito; vino da disunger la lana; un boccalaccio sbreccato; melaccie tignose; carnaccia e pesci dozzinali: e quel che è peggio,

  1. Sat. III, 278 segg.
  2. Sat. IV.