Pagina:Satire (Giovenale).djvu/27


prefazione xxvii

gli oppositori potrebbero farsi forti del silenzio assoluto serbato da qualcuno degli antichi intorno all’autore di quest’esilio; poichè l’unica conseguenza ragionevole, che da ciò si potrebbe dedurre, si è che essi medesimi non lo sapevano, e però tacquero. Ma vi è di più. Quei pochi che non nominano chicchessia, dicendo soltanto che il poeta fu esiliato dal tiranno; quando poi affermano, che la cagione dell’esilio furono i versi contro l’istrione Paride, danno a divedere che la loro mira era rivolta su Domiziano o Trajano, e non mai sopra Adriano; al quale non si sa che fosse in grazia nessun istrione, nè che per favore d’altrui inalzasse a tribunati e prefetture. Vorrei finalmente che si facesse un’altra avvertenza. Quando Adriano salì sul trono, Giovenale doveva avere almeno settant’anni: e non è punto verosimile che un principe prudente come Adriano, il cui studio principale si fu di mantenere in pace l’Impero, e di afforzarne perciò i confini, volesse per un puro capriccio di vendetta femminile affidare il comando di una coorte, posta a guardare quei confini, ad un uomo di quell’età, e novizio affatto, per quanto noi sappiamo, delle cose militari.


    cazione il Poeta non inserisse i detti versi: ma poi in una seconda edizione da lui fatta nel 135, cioè l’anno innanzi la morte di Adriano, ve l’inserisse; e Adriano ne prendesse argomento di sdegnarsi e d’esiliare il poeta. Ma possono i sogni dei critici accettarsi per fatti storici? — O. Ribbeck. Iuvenalis Satirae. Praefatio, XII. Lipsiae, 1859.