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xxiv prefazione

simile, ma accertata dagli autori dell’antiche notizie biografiche. Due di essi infatti, e presumibilmente i più autorevoli perchè i più antichi, accennando al componimento nel quale si trovava il corpo del delitto, lo chiamano «una satira di pochi versi».1 E chi non vede che questo nome, mentre da un lato non conviene affatto alla settima satira, perchè essa è una delle più lunghe fra le sedici del Nostro, ed è composta di ben dugento quarantatrè versi; dall’altro è adattatissimo a significare un breve componimento, che abbia dello scherzevole e del mordace insieme, quali dovevano essere appunto quelle poesie rammentate da Plinio; e come ce n’ha lasciati bellissimi esempi Marziale ne’ suoi Epigrammi? E non soltanto questo dicono i due antichi biografi, ma aggiungono che il Poeta, il quale dapprima non aveva avuto molti ammiratori, quando s’accorse che i suoi scritti cominciavano a riscuotere gli applausi del pubblico, inserì nei nuovi componimenti anche i versi che prima aveva fatti, e nominatamente quelli che erano stati causa del suo esilio.2

In che modo poi si sia potuto cacciare la prima volta in questa disputa il nome di Trajano, non

  1. «Paucorum versuum satyra».
  2. «Diu ne modico quidem auditorio committere est ausus: mox magna frequentia tantoque successu bis aut ter auditus, ut ea quoque, quae prima fecerat, inferciret novis scriptis: quod non dant proceres, dabit histrio etc.».