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xxii prefazione

una parola di biasimo per Trajano; anzi una volta che ne parla, lo fa, come fu già notato, per esaltare la sua munificenza verso i letterati.1 È vero che Trajano fu buon principe; però, a confessione de’ suoi stessi lodatori, ebbe anche lui il suo lato vulnerabile: e questo mi pare che come non dovette sfuggire all’occhio osservatore del severo Satirico, così non sarebbe andato libero da una delle sue terribili frecciate, se il Poeta avesse da lui ricevuto quel brutto tiro dell’esilio sotto il pretesto di un’onorificenza. Invece, tra queste sue Satire non solo ve ne son due, la seconda e la quarta, scritte deliberatamente a vitupero di Domiziano; ma non ve n’è, sto per dire, una sola, dove non sia posta in croce qualche sconcezza di lui o de’ suoi: tanto che potrebbe dirsi, che Domiziano è il protagonista, l’Achille della Satira giovenalesca. E questo fatto mi sembra che se non una prova, offra almeno un probabile motivo a pensare, che il calvo Nerone, come lo chiamarono i suoi contemporanei, oltre a tutte le infamie che lo rendeano esoso e degno degli strali della satira, avesse col nostro poeta qualche vecchio conto da regolare. Nè ciò deve in nulla scemare la stima e la fede dovuta all’austero censore dei romani costumi: poichè chiunque sia composto della medesima pasta umana e, ponendosi una mano sul petto, entri per poco nei piedi di Giovenale,

  1. Sat. VII, 1-12.