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106 note

10 Trasea Peto ed Elvidio vissero sotto Nerone, ma erano degni dei primi tempi della Repubblica. Raccontano Tacito e Svetonio, che costoro per non aver voluto assistere, insieme cogli altri vili Senatori, ai sacrifizii offerti agli Dei, perchè conservassero a Nerone la sua divina voce, furono accusati di lesa maestà; e l'uno condannato a morte, l'altro all'esilio.

11 Il fortunato rivale è Enea che sposò Didone amata da Iarba. Giovenale in questo luogo allude a quelle parole di Virgilio: cui stellatus jaspide fulva ensis erat.

12 Costui, come rivelasi da un epigramma di Marziale (lib. xiv. 96), fu un certo Vatinio; il quale dal bischetto passò poi alla corte di Nerone, dove si rese famoso per le sue delazioni. Questa specie di boccali erano dal nome di lui detti vatiniani.

13 Il Moro destinato a servir da pincerna a Trebio non senza sapor di facezia è chiamato Ganimede, bellissimo giovinetto rapito in cielo da Giove, perchè facesse da coppiere ai banchetti degli Dei.

14 Gli antichi nei conviti facevano uso anche d'acqua calda: forse per isciogliere i vini che per troppa età si erano coagulati. Vedi sopra la nota 7.

15 Uno dei sette colli di Roma, dove pare che stesse di casa Virrone.

16 Il testo ha squilla, specie di pesce, del quale non si ha più notizia; almeno secondo la grossezza e la bontà che qui gli attribuisce Giovenale: poichè le squille, che si conoscono oggi, non sono nè grosse nè gustose.

17 L'uso di mettere dei cibi sulle tombe dei morti è della più alta antichità: e anch'oggi si pratica da certe popolazioni dell'Asia.

18 Gli Affricani, avvezzi com'erano ad ungersi con quell'olio, doveano puzzare.

19 Città o porto celebre della Sicilia; oggi Taormina.

20 Questa sora Aurelia doveva essere qualche zittellona molto ricca, ma di quelle che spezzerebbero il centesimo.

21 Favoloso cacciatore che uccise il terribil cinghiale che infestava la Caledonia. Ovidio, Met. viii.

22 Che il nascere e il crescere dei tartufi sia aiutato dallo scoppio dei tuoni, è affermato anche da Ateneo: De Coena sapientum, lib. ii. 21. - E Plinio lib. xix. 3, ne spiega la ragione, dicendo che dal contrasto degli elementi e dalle scosse del tuono si eccita nella terra la fermentazione e lo sviluppo di quelle particelle, che concorrono alla vegetazione dei tartufi.