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xx | prefazione |
l’investire della sua carica il Prefetto del Pretorio, consegnandogli la spada, così gli disse: «con questa difendimi, se governo bene, e rivolgila contro di me, se fo altrimenti».1 Chi non si sente rimordere da nessuna colpa ed opera dirittamente, non è per natura inclinato a interpretar male i discorsi, e a vedere un’accusa in ogni parola che altri dica di lui. Solamente chi ha la coda di paglia, sta sempre con paura che gli pigli fuoco. Non parmi dunque verosimile che quei versi, a cui la voce concorde dell’antichità attribuisce la causa dell’esilio di Giovenale, potessero far nascere in Trajano il benchè minimo dubbio sull’intenzione del poeta, e offrirgli per conseguenza un pretesto di cacciarlo da Roma. Se Trajano fosse stato uomo da dargli ombra un detto contro il favoritismo e i brogli di Paride, lancia di Domiziano, come avrebbero potuto sotto di lui viver quieti e tranquilli non solo, ma godere dei primi onori e delle cariche dello Stato, Plinio il giovane e Tacito; i quali non erano, specialmente il secondo, nè più benevoli nè più indulgenti nel ritrarre e vituperare le vergogne e nequizie dei passati tiranni?
Vediamo invece se questo esilio, e il modo e il fine, coi quali fu dato, non convengano perfettamente al carattere ipocrita e feroce di Domiziano. Tutti gli antichi biografi attestano che il